domenica 2 maggio 2010

Sotto il tallone dell’economia di crisi: su Finanza bruciata di Christian Marazzi, Bellinzona, Casagrande, 2009.

di Salvo D'Allura e Luigi Sturniolo

Di descrizioni della bolla finanziaria determinata dai mutui subprime americani ne sono state pubblicate tante negli ultimi tempi. Così anche il grande pubblico ha imparato a familiarizzare quanto meno con i termini che definiscono la finanziarizzazione dell’economia. L’importanza di Finanza bruciata di Christian Marazzi consiste, però, nell’affrontare il tema con approcci e anche suggestioni innovativi, mettendo in discussione alcuni dei luoghi comuni diventati discorso esplicativo della crisi nelle parole di politici e giornalisti.
Espressione tipica di questi luoghi comuni è la presunta distinzione tra economia reale ed economia finanziaria. La prima rappresenterebbe il sano del discorso economico, la seconda l’elemento speculativo causa degli squilibri e delle crisi. Marazzi mette in discussione questo schema e sostiene, al contrario, che se la finanziarizzazione tipicamente novecentesca rappresentava il tentativo di recuperare sui mercati finanziari quello che il capitale non riusciva più a captare nell’economia reale, oggi “la finanziarizzazione è la forma di accumulazione del capitale simmetrica ai nuovi processi di produzione del valore”. Spiega che solo la costruzione dell’immenso indebitamento degli stati e delle famiglie ha consentito il mantenimento del consumo, generando la privatizzazione del deficit spending di keynesiana memoria (creazione, in sostanza, di domanda aggiuntiva attraverso il debito privato, con trasferimanto del rischio sulle economie domestiche private). Secondo Marazzi, insomma, i meccanismi finanziari sono parte integrante dell’economia reale. Anche nella prospettiva di un eventuale e difficoltoso cambiamento delle regole questo dato appare irreversibile.
Altro elemento venuto meno, accanto alla distinzione tra economia reale e finanziaria, è quello tra pubblico e privato, in particolare dopo le privatizzazioni. Il governo della moneta, il ruolo delle banche centrali, fino ai fondi sovrani, mostrano la continuità che si è creata nella gestione odierna dell’economia e del sociale. Il governo ruota ormai intorno al bilancio. Il resto è corollario. Per questo i deficit bancari possono essere trasferiti tout-court a carico dello Stato e i deficit pubblici sono il principale problema economico.
Marazzi insiste sul divenire rendita di profitto e salario. Ciò comporta la registrazione dello scollamento tra la distribuzione della ricchezza ed il riferimento diretto ai parametri produttivi. La forza appropriativa non è, in ultima analisi, determinata dal peso nel sistema produttivo di merci, ma dalla collocazione e dalla possibilità di utilizzare le leve complessive (e la dimensione finanziaria ha occupato il posto più alto) per determinare un funzionamento a proprio favore dell’intero meccanismo finanziario-produttivo. E’ così che gli strati alti hanno spostato a proprio vantaggio la distribuzione della ricchezza aumentando la forbice tra ricchi e poveri. Nel momento in cui tutta la vita è terreno produttivo e oggetto di sfruttamento, le condizioni, il livello di vita, la capacità di operare su tutta la dimensione del vivente è l’obiettivo, la misura effettiva del successo. La rendita, il dato monetario, è il riferimento numerico di una concreta realtà biopolitica.
La crisi non rappresenta, quindi, più un momento, un passaggio del ciclo economico. Essa è ritenuta sistemica e irreversibile. Ma qui bisogna distinguere tra crisi divenuta elemento costante dei processi economici e crisi di governamentalità. Se è vero che assistiamo ad una normalizzazione dell’eccezionalità per cui siamo passati dalla shock economy ad una vera e propria economia della crisi nella quale tutto è oggetto di intervento per una emergenza continua auto-legittimantesi, è proprio in questo rendersi assoluta che la governamentalità entra in crisi realmente, mancando la dimensione della mediazione. Il rapporto con il reale risulta, cioè, drogato in una presunzione di onnipotenza sull’intero sistema del vivente cosicché esso finisce con lo scontrarsi con l’inerzia, la resistenza di una dimensione comune, che tutti coinvolge.
C’è da chiedersi se l’irreversibiltà della crisi si dia in un continuum temporale di lunga durata nel quale l’appropriazione, nella contemporaneità, di guadagni presunti futuri possa essere elemento stabile del sistema economico (ammortizzabile magari con l’esplosione episodiche di “bolle”) o se, al contrario, essa definisca un orizzonte temporale limitato entro il quale si assisterà a meccanismi di tipo implosivo e/o ad una nuova gerarchia politico-economica globale.
C’è da chiedersi, se nelle condizioni date, il comune potrà giocare un ruolo politico attivo.