martedì 13 aprile 2010

Quel ponte non s'ha da fare

di Maria La Calce

«Quella del ponte non è una questione che riguarda solo il meridione, ma tutto il Paese».

Con queste parole, Luigi Sturniolo, della Rete no ponte, introduce il delicato problema della costruzione della più grande opera pubblica mai realizzata in Italia.

Il dibattito intorno al ponte resta vivo, soprattutto al sud e tra fautori e detrattori, con la fine del 2009 e l'avvento del nuovo anno sembra realmente essersi innescata, così come del resto si prospettava da tempo, la "macchina ponte".

«Risale, infatti, al 23 dicembre l'apertura del primo cantiere targato ponte, si è trattato, -come ci spiega Sturniolo- di poche decine di migliaia di euro per lo spostamento di alcuni chilometri di ferrovia nella contrada calabrese di Cannitello.

Sembrava un bluff ma secondo alcuni esperti, tra cui le associazioni ambientaliste, se i lavori non dovessero rispettare i tempi previsti, il governo dovrebbe pagare ad Impregilo una penale di 400 mila euro, un po' troppo salata per essere un bluff.

Che le cose comincino a muoversi, è evidente del resto anche nel fatto che il Comune di Messsina

abbia approvato la delibera per espropri sul proprio territorio.

Il dodici febbraio poi si è tenuta nella città peloritana la presentazione del Ponte alla quale hanno preso parte il Ministro Altero Matteoli , il sindaco Giuseppe Buzzanca e il presidente della società Stretto di Messina Pietro Ciucci.

Non essendoci ancora un progetto è stata presentata la squadra che si occuperà della realizzazione dell'opera con Impregilo capofila ed è stato assicurato che entro il 2017 ci sarà il progetto definitivo».

«A parte la costruzione del ponte, spiega Sturniolo, la vera partita saranno le opere collaterali che verranno realizzate con fondi pubblici.

I fondi pubblici, che ammonterebbero ad un miliardo e tre, corrispondono a quelli FAS europei destinati ad aree sotto utilizzate per rilanciarne l'economia, verrebbero usati per opere collaterali di accesso come strade, svincoli, la stazione ferroviaria di Gazzi e opere compensative per risarcire il territorio

La progettazione, affidata ad una società danese, verrà fatta con i soldi della ricapitalizzazione: Anas 82%, RFI, Regione Sicilia e probabilmente Regione Calabria, che sebbene avesse chiesto di uscire, ora sicuramente chiederà di rientrare.

Per l'attraversamento le risorse verranno reperite sul mercato tramite obbligazioni e mutui.

Le spese del resto non potranno essere coperte dai pedaggi.

Il calcolo della remuneratività dei transiti era stato fatto in un'ottica di crescita economica, ma tale calcolo si è rivelato non realistico ed anche dalla Corte dei Conti, il 15gennaio, sono arrivati inviti a riconsiderare la validità dell'investimento.

Nel Convegno nazionale Legge obbiettivo e valutazione dei progetti. Analisi costi benefici del progetto del ponte sullo Stretto, Marco Brambilla del Politecnico di Milano aveva calcolato che perché le spese potessero rientrare si sarebbe dovuta allungare la concessione per la riscossione dei pedaggi da trenta a cinquanta anni e si sarebbero dovuti ridurre drasticamente i passaggi delle navi traghetto nello Stretto.

Si andrà incontro ad un crac finanziario ed i titoli non saranno che carta straccia se non sarà lo Stato a coprirli. Sarà un'operazione di tipo speculativo che impiega risorse pubbliche».

«Anche interessanti sono a mio avviso,- incalza Sturniolo- le considerazioni fatte da Remo Calzona, ex capo progettista della Società Stretto di Messina e autore del progetto preliminare, che nel libro "La ricerca non ha fine" del 2009, spiega che il ponte avrà grossi rischi di non reggere per la sua campata unica di 3 Km e 200 metri, messo a dura prova da flutter (crollerebbe infatti per il suo stesso peso) e galopping (il manto stradale si deformerebbe a causa del vento).

La campata unica, infatti, rende fragile la struttura, dovrebbe essere di due chilometri ed i pilastri dovrebbero sorgere in mezzo al mare, questo accorgimento ridurrebbe l'impatto ambientale sulla costa sicula. I geologi, inoltre, sostengono che là dove dovrebbe sorgere il pilastro in Calabria c'è la faglia 50, andrebbe dunque spostato di 500 metri. Tali affermazioni si devono a fautori del ponte.

Punto caldo della presentazione di Ciucci del 12 febbraio è stata poi la questione posti di lavoro.

La società Stretto di Messina che all'inizio ne presentava 40.000, davanti all'assurdità di tale affermazione, che implicherebbe in 6 anni una spesa di 6 miliardi solo per pagare i salari ai dipendenti, nel corso stesso del convegno ha dovuto rettificare tale dato ed il rappresentante Eurolink è stato costretto poi a parlare di 3500 posti di lavoro più 5000 nell'indotto».

«Si tratterebbe, spiega Sturniolo di personale altamente qualificato, ed il ritorno in termini di lavoro sullo Stretto sarebbe dunque scarso nonostante proprio su questo argomento si tenti di far leva su di un territorio fortemente depresso che accetterebbe comunque di far arrivare risorse sebbene contraddistinte dall'etichetta ponte».

«Il problema,- conclude Sturniolo-, è infatti soprattutto politico, la battaglia deve essere condotta sulle risorse, la gente in assenza di una valida alternativa è portata ad accontentarsi».

Fonte: http://www.nuovasocieta.it/interviste/5262-quel-ponte-non-sha-da-fare.html

venerdì 9 aprile 2010

Continuare a tessere la rete per non cascarci dentro!

di Luigi Sturniolo

Il 1. luglio 2002 aveva inizio il 1. Campeggio contro il Ponte. Finiva il tempo del movimento d’opinione ed iniziava quello del movimento di lotta. Da allora la misura delle nostre ragioni è stata verificata oltre che nella loro ragionevolezza anche nella loro capacità di mobilitazione. La piazza, si sa, è impietosa. Se non cresci arretri, e te lo fanno notare. Il movimento da allora è cresciuto ad ogni passaggio. Benché ogni passaggio sia stato vissuto col patema d’animo della verifica.
Dal 2002 al 2004 è stato il tempo dei campeggi. E’ stato intorno alla loro capacità aggregativa che si è costruito il “peso” del movimento. E’ attraverso essi che abbiamo acquistato visibilità e siamo diventati credibili.
Nel 2005 è iniziato il periodo della Rete No Ponte. Nata come consorzio temporaneo di organizzazioni ha provato a farsi stabile fino ad arrivare all’evento più importante dal punto di vista numerico, la manifestazione dei 20000 del 22 gennaio 2006. Un percorso, questo, che ha modificato gli equilibri del centrosinistra intorno a questo tema, determinando l’esclusione del Ponte sullo Stretto dalle opere prioritarie durante il Governo Prodi.
Nella sua ri-partenza, dopo il periodo del Governo di centrosinistra e il rilancio dell’operazione Ponte da parte di Berlusconi, la Rete No Ponte ha riavviato il lavoro di costruzione dell’opposizione al Ponte a partire dai presupposti del Patto di Mutuo Soccorso. Si è deciso, cioè, di abbandonare la dimensione di coordinamento tra strutture, e quindi anche la liturgia dei rappresentanti, dei veti, delle mediazioni, delle risse, per dare vita ad una esperienza che avesse le caratteristiche di strumento di mobilitazione, rete di attivisti, organizzazione non rappresentativa, non di sintesi. Partito da Messina, il modello è stato assunto, con la manifestazione del 19 dicembre, anche dalla sponda calabrese. La Rete è diventata, così, open source, non proprietaria.

La presentazione della “squadra che costruirà il Ponte sullo Stretto”, così l’ha definita Ciucci, svoltasi il 12 febbraio a Messina ha aperto una nuova fase di tutta la vicenda. L’elemento più significativo di questa nuova fase è stato il messaggio che è stato mandato al territorio. “Stiamo facendo sul serio” è stato detto alla politica, all’università, agli ordini professionali, ai sindacati. Frane o non frane, i soldi (quelli che arriveranno) passeranno per il Ponte. Non che sia ancora scontato il metter mano realmente al manufatto d’attraversamento (lo stesso Rubegni, A.D. di Impregilo, pochi giorni fa dichiarava di non sapere ancora se il Governo voglia davvero fare il Ponte o fermarsi alle opere preliminari). Ecco, questa è la partita, al momento: le opere preliminari (collaterali e compensative). Per queste sono stati annunciati 1.3 miliardi (da prendere dai fondi FAS). Con la ricapitalizzazione (altri soldi pubblici) hanno annunciato di voler fare la progettazione. I soldi per la costruzione del Ponte dovrebbero essere recuperati attraverso il mercato (banche). Ed è una incognita assoluta.

A Cannitello hanno già aperto quello che qualcuno ha definito un cantiere fantasma, ma che qualcun altro ha detto garantire il pagamento della penale ad Impregilo in caso di interruzione dei lavori. A Messina pare si aggirino già strani individui incaricati di iniziare l’opera di monitoraggio ambientale (alla quale partecipano, tra gli altri, i “compagni” della Nautilus di Vibo Valentia). Il progetto definitivo è stato annunciato per fine anno. Insomma, sembrerebbe che siamo alle grandi manovre. Contro le grandi manovre abbisognerebbe una Rete No Ponte grande. O, almeno, una grande Rete No Ponte. E così non è. Negli anni abbiamo assistito all’estinguersi di varie esperienze nate all’interno del movimento, le caratteristiche del territorio non esprimono elementi comunitari come quelli della Val di Susa, né a facile costruire la dimensione territoriale del No Dal Molin (possibile anche attraverso la disponibilità di un congruo numero di attivisti), le reti di movimento vivono (e la sinistra in genere vive) una fase di arretramento.

Nel momento di massima esposizione, in un momento che si preannuncia cruciale, la Rete è al suo minimo di potenza.
Che fare? Di certo, non pensare di riprodurre esperienze mutuate da altri territori, per quanto detto prima. Sulla piazza messinese, ad esempio, le mobilitazioni si sono sempre date secondo caratteristiche di tipo metropolitano (Messina è pur sempre una città di 250000 abitanti ed ha una provincia molto estesa): ristretti nuclei di attivisti con una accettabile partecipazioni, dal punto di vista numerico, alle manifestazioni. Difficile, quindi proporre i comitati popolari, così come si danno in Val di Susa, per il semplice fatto che non c’è quel tipo di popolo, non c’è la valle, non si dà il superamento delle soggettività pre-esistenti. Difficile anche proporre il modello veneto perché non c’è quella disponibilità militante ed anche la difesa del territorio in termini quasi-conservativi è improponibile in un’area già ampiamente compromessa come la nostra.
Assolutamente, però, non si può conservare la Rete così com’è, soggetto che rischia di diventare sigla tra le altre, usata e usabile.

Bisogna riprendere a tessere la rete, capire che una battaglia così grossa come quella contro il ponte la si vince solo con una grande alleanza sociale che imponga un utilizzo diverso delle risorse (un solo no per tanti sì), prendere coscienza del fatto che i singoli nodi della rete non sono a diretto contatto con tutti gli altri ma che la trama definisce la forza complessiva. Un movimento complessivo a geometria variabile in cui abbiano diritto di cittadinanza singoli, comitati, associazioni, sindacati, partiti con ampi margini di autonomia. Un movimento dentro il quale la rete abbia la funzione di connettere e di dar vita ai grandi eventi. Per confrontarsi su questo e definire le prossime tappe dovremo darci un appuntamento assembleare a carattere extra-territoriale. Fino a quando una nuova onda non si darà, però, senso di responsabilità vuole che si continui a tenere botta con gli strumenti a disposizione.

08.04.10