venerdì 9 aprile 2010

Continuare a tessere la rete per non cascarci dentro!

di Luigi Sturniolo

Il 1. luglio 2002 aveva inizio il 1. Campeggio contro il Ponte. Finiva il tempo del movimento d’opinione ed iniziava quello del movimento di lotta. Da allora la misura delle nostre ragioni è stata verificata oltre che nella loro ragionevolezza anche nella loro capacità di mobilitazione. La piazza, si sa, è impietosa. Se non cresci arretri, e te lo fanno notare. Il movimento da allora è cresciuto ad ogni passaggio. Benché ogni passaggio sia stato vissuto col patema d’animo della verifica.
Dal 2002 al 2004 è stato il tempo dei campeggi. E’ stato intorno alla loro capacità aggregativa che si è costruito il “peso” del movimento. E’ attraverso essi che abbiamo acquistato visibilità e siamo diventati credibili.
Nel 2005 è iniziato il periodo della Rete No Ponte. Nata come consorzio temporaneo di organizzazioni ha provato a farsi stabile fino ad arrivare all’evento più importante dal punto di vista numerico, la manifestazione dei 20000 del 22 gennaio 2006. Un percorso, questo, che ha modificato gli equilibri del centrosinistra intorno a questo tema, determinando l’esclusione del Ponte sullo Stretto dalle opere prioritarie durante il Governo Prodi.
Nella sua ri-partenza, dopo il periodo del Governo di centrosinistra e il rilancio dell’operazione Ponte da parte di Berlusconi, la Rete No Ponte ha riavviato il lavoro di costruzione dell’opposizione al Ponte a partire dai presupposti del Patto di Mutuo Soccorso. Si è deciso, cioè, di abbandonare la dimensione di coordinamento tra strutture, e quindi anche la liturgia dei rappresentanti, dei veti, delle mediazioni, delle risse, per dare vita ad una esperienza che avesse le caratteristiche di strumento di mobilitazione, rete di attivisti, organizzazione non rappresentativa, non di sintesi. Partito da Messina, il modello è stato assunto, con la manifestazione del 19 dicembre, anche dalla sponda calabrese. La Rete è diventata, così, open source, non proprietaria.

La presentazione della “squadra che costruirà il Ponte sullo Stretto”, così l’ha definita Ciucci, svoltasi il 12 febbraio a Messina ha aperto una nuova fase di tutta la vicenda. L’elemento più significativo di questa nuova fase è stato il messaggio che è stato mandato al territorio. “Stiamo facendo sul serio” è stato detto alla politica, all’università, agli ordini professionali, ai sindacati. Frane o non frane, i soldi (quelli che arriveranno) passeranno per il Ponte. Non che sia ancora scontato il metter mano realmente al manufatto d’attraversamento (lo stesso Rubegni, A.D. di Impregilo, pochi giorni fa dichiarava di non sapere ancora se il Governo voglia davvero fare il Ponte o fermarsi alle opere preliminari). Ecco, questa è la partita, al momento: le opere preliminari (collaterali e compensative). Per queste sono stati annunciati 1.3 miliardi (da prendere dai fondi FAS). Con la ricapitalizzazione (altri soldi pubblici) hanno annunciato di voler fare la progettazione. I soldi per la costruzione del Ponte dovrebbero essere recuperati attraverso il mercato (banche). Ed è una incognita assoluta.

A Cannitello hanno già aperto quello che qualcuno ha definito un cantiere fantasma, ma che qualcun altro ha detto garantire il pagamento della penale ad Impregilo in caso di interruzione dei lavori. A Messina pare si aggirino già strani individui incaricati di iniziare l’opera di monitoraggio ambientale (alla quale partecipano, tra gli altri, i “compagni” della Nautilus di Vibo Valentia). Il progetto definitivo è stato annunciato per fine anno. Insomma, sembrerebbe che siamo alle grandi manovre. Contro le grandi manovre abbisognerebbe una Rete No Ponte grande. O, almeno, una grande Rete No Ponte. E così non è. Negli anni abbiamo assistito all’estinguersi di varie esperienze nate all’interno del movimento, le caratteristiche del territorio non esprimono elementi comunitari come quelli della Val di Susa, né a facile costruire la dimensione territoriale del No Dal Molin (possibile anche attraverso la disponibilità di un congruo numero di attivisti), le reti di movimento vivono (e la sinistra in genere vive) una fase di arretramento.

Nel momento di massima esposizione, in un momento che si preannuncia cruciale, la Rete è al suo minimo di potenza.
Che fare? Di certo, non pensare di riprodurre esperienze mutuate da altri territori, per quanto detto prima. Sulla piazza messinese, ad esempio, le mobilitazioni si sono sempre date secondo caratteristiche di tipo metropolitano (Messina è pur sempre una città di 250000 abitanti ed ha una provincia molto estesa): ristretti nuclei di attivisti con una accettabile partecipazioni, dal punto di vista numerico, alle manifestazioni. Difficile, quindi proporre i comitati popolari, così come si danno in Val di Susa, per il semplice fatto che non c’è quel tipo di popolo, non c’è la valle, non si dà il superamento delle soggettività pre-esistenti. Difficile anche proporre il modello veneto perché non c’è quella disponibilità militante ed anche la difesa del territorio in termini quasi-conservativi è improponibile in un’area già ampiamente compromessa come la nostra.
Assolutamente, però, non si può conservare la Rete così com’è, soggetto che rischia di diventare sigla tra le altre, usata e usabile.

Bisogna riprendere a tessere la rete, capire che una battaglia così grossa come quella contro il ponte la si vince solo con una grande alleanza sociale che imponga un utilizzo diverso delle risorse (un solo no per tanti sì), prendere coscienza del fatto che i singoli nodi della rete non sono a diretto contatto con tutti gli altri ma che la trama definisce la forza complessiva. Un movimento complessivo a geometria variabile in cui abbiano diritto di cittadinanza singoli, comitati, associazioni, sindacati, partiti con ampi margini di autonomia. Un movimento dentro il quale la rete abbia la funzione di connettere e di dar vita ai grandi eventi. Per confrontarsi su questo e definire le prossime tappe dovremo darci un appuntamento assembleare a carattere extra-territoriale. Fino a quando una nuova onda non si darà, però, senso di responsabilità vuole che si continui a tenere botta con gli strumenti a disposizione.

08.04.10

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