lunedì 14 dicembre 2009

Un solo NO e tanti SI




di Luigi Sturniolo

Nel promo della Rete No Ponte che annuncia la manifestazione del 19 dicembre c’è tutto il senso dell’evoluzione di un movimento che, nato per contrastare un orrore, la costruzione di un catafalco di cemento e acciaio dentro uno degli scenari naturali più belli, lo Stretto di Messina, è diventato luogo di coagulo delle mille istanze e vertenze che animano la Calabria e la Sicilia e laboratorio di elaborazione di proposta sociale, costruzione di senso, difesa degli spazi di democrazia.

Già con la manifestazione dell’otto di agosto la Rete No Ponte aveva cominciato ad articolare una piattaforma sociale basata sulla rivendicazione di infrastrutture di prossimità: la messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico ed idrogeologico, il potenziamento del trasporto marittimo pubblico nello Stretto, un nuovo Welfare. La tragedia del 1. ottobre ha mostrato, purtroppo, quanto quella piattaforma fosse ragionevole. Non ci voleva molto a capirlo. Solo un po’ di buon senso.

A due mesi da quel giorno tragico, il 1. dicembre mille persone hanno manifestato a Torre Faro per ricordare le vittime delle frane e chiedere che quel territorio non venga sventrato dalla posa del pilone messinese del ponte e dalle opere collaterali ad esso connesse. “I soldi del ponte per la sicurezza dei territori” lo slogan di quella manifestazione. “Fermiamo i cantieri del ponte, lottiamo per le vere priorità” quello della manifestazione del 19 dicembre.

Insomma, non una difesa conservativa e museale dei luoghi, ma un progetto di vivibilità, una dimensione sociale della battaglia. Il movimento, nel diventare questo, sfugge alle accuse di essere espressione del NIMBY, interviene sulla gestione delle risorse economiche, sulle modalità attraverso le quali vengono prese le decisioni che riguardano i territori e la vita degli abitanti, sperimenta forme nuove di pratica politica. La lotta contro il ponte non è, quindi, semplicemente lotta contro il manufatto d’attraversamento. La lotta contro il ponte è lotta contro un progetto di gestione politica ed economica di un territorio.

Il ponte sullo Stretto non serve a un fico secco e lo sanno anche quelli che vogliono costruirlo. Gli serve perché genera flussi finanziari e raccolta del consenso. Gli serve, insieme a tante altre cose (termovalorizzatori, nucleare, esternalizzazioni nel militare, privatizzazione dei beni comuni, grandi opere) per tentare di sopravvivere alla crisi. Il ponte consuma risorse pubbliche e genera debito e speculazione, aderendo in questo, pienamente, all’attuale trend economico. Da questo punto di vista non è un’anomalia.

E da questo punto di vista non ha neanche molto senso fare una battaglia di argomenti, come se la decisione di procedere o meno alla costruzione dell’infrastruttura possa essere la risultante di una contesa tra due ragioni. D’altronde, quanto la razionalità pontista sia debole, quasi evanescente, lo dimostrano le argomentazioni del comitato “Ponte subito”, nato guarda caso a cavallo delle manifestazioni della Rete No Ponte. Nel loro documento, infatti, elemento centrale riveste l’attrattiva turistica derivata dalla realizzazione della campata unica più lunga. Questo exploit, da solo, genererebbe un interesse che si riverserebbe sui territori circostanti fino a ricoprirci d’oro. Eppure Kobe-Awaji in Giappone, l’arcipelago delle Zhoushan in Cina, Halsskov-Sprogø in Danimarca, le rive cinesi del Fiume Azzurro o Barton-upon-Humber (novemila abitanti nel Licolnshire) non sono esattamente le più ricercate località turistiche del mondo. Eppure ospitano i ponti più lunghi al mondo.

Una cosa interessante il documento fondativo del comitato “Ponte subito”, però, la dice: non necessariamente l’opera dovrà autosostenersi dal punto di vista economico. Hanno avuto bisogno di dieci anni per ammetterlo ma, finalmente, ci sono arrivati.

E gli investimenti privati sbandierati fino a pochi giorni fa da Matteoli? “Prestiti e obbligazioni”, aveva detto Ciucci al giornalista della trasmissione Exit de La7. Ed effettivamente questo è lo schema classico del project finance. “Le obbligazioni garantiranno interessi del 4%” afferma uno dei più strenui difensori della grande opera. E’ possibile, ma chi garantirà le obbligazioni, visto che sulla base della debole crescita economica non c’è alcuna possibilità che il ponte risulti profittevole attraverso i pedaggi? Non importa. Tanto tutta l’economia attualmente galleggia sul debito.

La manifestazione del 19 dicembre sarà molto partecipata, c’è da giurarci. Lo si avverte dall’interesse che sta generando. Lo si avverte dal fatto che viene percepita come un momento in cui ci si misura. Si tratta di un evento che assume una forte valenza simbolica. Quel giorno sarà fondamentale perché le dimensioni di quel corteo garantiranno la prosecuzione di questo cammino e ne segneranno il tratto.

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