domenica 15 marzo 2015

LA POLITICA DELLE GRANDI OPERE E’ UN FALSO IDEOLOGICO

Di certo tutti ci ricordiamo del Berlusconi che a “Porta a Porta” disegnava sullo Stivale le linee delle Grandi Opere infrastrutturali che avrebbero innervato il paese e consentito a merci e persone di correre più veloci della luce. Era il tempo dell’approvazione della Legge Obiettivo, quella che avrebbe, bypassando le lungaggini amministrative determinate dai controlli degli enti locali (adesso non gli basta più, nelle riforme costituzionali a farne le spese sono le Regioni che vedono trasferite le proprie competenze allo Stato in materia di infrastrutture), consentito una rapida e corretta realizzazione dei manufatti.


Il tempo è sempre galantuomo e dà sempre ragione ai movimenti che, si sa, vivono in anticipo rispetto alla politica istituzionale e alla burocrazia. Il risultato è che i cantieri (reali o virtuali) delle Grandi Opere sono costellati di scandali e inchieste per corruzione. Il risultato è che sempre più ai cittadini non è stata data la possibilità di proferire parola. Il risultato è che, in larghissima misura, le Grandi Opere non sono state realizzate. Sarebbe facile dirlo adesso, ma, per fortuna, noi (ad esempio il movimento no ponte) lo abbiamo sempre detto. E sta scritto, quindi è leggibile. “Il ponte lo stanno già facendo”, dicevamo. Intendevamo dire che non gliene importava un fico secco di realizzarlo davvero, ma l’importante era tenere aperta la suggestione. Un po’ di soldi sarebbero colati giù e ne avrebbero usufruito le grandi imprese dei General Contractor, i progettisti, le rappresentanze politiche. Di certo non i territori, né i lavoratori.

Il Rapporto annuale del CRESME (Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio) illustrato alla Commissione Ambiente e lavori Pubblici della Camera dei Deputati  ci dice, infatti, che solo l’8% delle opere previste 14 anni fa dalla Legge Obiettivo sono state realizzate e che se anche le opere sono ferme cresce il loro costo (del 40% rispetto a 10 anni fa). I dati ci dicono, quindi, che tutta la campagna ideologica intorno alla politica delle infrastrutture si è rivelata un grande falso.


Tutto questo ha molto a che fare con i meccanismi dell’informazione che, alimentando la politica degli annunci, hanno dato ai cittadini italiani una percezione della realtà che non corrispondeva al vero. Tutto questo ha molto a che fare con la democrazia nel nostro paese, in quanto la cessione in termini di controllo da parte degli enti locali, e quindi la centralizzazione delle scelte, non ha prodotto più efficienza e legalità, ma probabilmente il contrario. Tutto questo ha molto a che fare con la battaglia per la continuità territoriale nello Stretto. Anche qui il falso di ipotetici grandi investimenti è riscontrabile nella riduzione degli investimenti pubblici nelle reti di trasporto (solo 2,2 miliardi di euro, che dovrebbero raggiungere i 6,8 attraverso il coinvolgimento di attori privati, arriverebbero in Italia, in gran parte al Nord, dall’Europa). Stiamo, quindi, molto attendi e difendiamo quello che c’è. Non si tratta di conservatorismo. Si tratta di resistenza. Solo a partire da questo potrà essere lanciato un grande movimento popolare che imponga investimenti pubblici per le infrastrutture utili.

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