Di certo tutti ci ricordiamo del
Berlusconi che a “Porta a Porta” disegnava sullo Stivale le linee delle Grandi Opere
infrastrutturali che avrebbero innervato il paese e consentito a merci e
persone di correre più veloci della luce. Era il tempo dell’approvazione della
Legge Obiettivo, quella che avrebbe, bypassando le lungaggini amministrative
determinate dai controlli degli enti locali (adesso non gli basta più, nelle
riforme costituzionali a farne le spese sono le Regioni che vedono trasferite
le proprie competenze allo Stato in materia di infrastrutture), consentito una
rapida e corretta realizzazione dei manufatti.
Il tempo è sempre galantuomo e dà
sempre ragione ai movimenti che, si sa, vivono in anticipo rispetto alla
politica istituzionale e alla burocrazia. Il risultato è che i cantieri (reali
o virtuali) delle Grandi Opere sono costellati di scandali e inchieste per
corruzione. Il risultato è che sempre più ai cittadini non è stata data la possibilità
di proferire parola. Il risultato è che, in larghissima misura, le Grandi Opere
non sono state realizzate. Sarebbe facile dirlo adesso, ma, per fortuna, noi
(ad esempio il movimento no ponte) lo abbiamo sempre detto. E sta scritto,
quindi è leggibile. “Il ponte lo stanno già facendo”, dicevamo. Intendevamo
dire che non gliene importava un fico secco di realizzarlo davvero, ma l’importante
era tenere aperta la suggestione. Un po’ di soldi sarebbero colati giù e ne
avrebbero usufruito le grandi imprese dei General Contractor, i progettisti, le
rappresentanze politiche. Di certo non i territori, né i lavoratori.
Il Rapporto annuale del CRESME
(Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio)
illustrato alla Commissione Ambiente e lavori Pubblici della Camera dei
Deputati ci dice, infatti, che solo l’8%
delle opere previste 14 anni fa dalla Legge Obiettivo sono state realizzate e
che se anche le opere sono ferme cresce il loro costo (del 40% rispetto a 10
anni fa). I dati ci dicono, quindi, che tutta la campagna ideologica intorno
alla politica delle infrastrutture si è rivelata un grande falso.
Tutto questo ha molto a che fare
con i meccanismi dell’informazione che, alimentando la politica degli annunci,
hanno dato ai cittadini italiani una percezione della realtà che non
corrispondeva al vero. Tutto questo ha molto a che fare con la democrazia nel
nostro paese, in quanto la cessione in termini di controllo da parte degli enti
locali, e quindi la centralizzazione delle scelte, non ha prodotto più efficienza
e legalità, ma probabilmente il contrario. Tutto questo ha molto a che fare con
la battaglia per la continuità territoriale nello Stretto. Anche qui il falso
di ipotetici grandi investimenti è riscontrabile nella riduzione degli
investimenti pubblici nelle reti di trasporto (solo 2,2 miliardi di euro, che
dovrebbero raggiungere i 6,8 attraverso il coinvolgimento di attori privati, arriverebbero
in Italia, in gran parte al Nord, dall’Europa). Stiamo, quindi, molto attendi e
difendiamo quello che c’è. Non si tratta di conservatorismo. Si tratta di
resistenza. Solo a partire da questo potrà essere lanciato un grande movimento popolare
che imponga investimenti pubblici per le infrastrutture utili.
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