domenica 29 marzo 2015

Io non sono anarchico

E’ uno strano destino quello del rapporto dell’attivista di movimento con le istituzioni. Quando, in tutta onestà, fa quanto lo statuto di attivista prescrive, cioè agisce nella società senza porsi il problema della rappresentanza, quanto, al contrario, quello dell’approfondimento e dell’estensione dei luoghi e delle ragioni del conflitto, in tanti (quelli più saggi, spesso) gli vanno a dire che “va bene il movimento, ma se non ti radichi nelle istituzioni non riuscirai a cambiare nulla”. Quando l’ingenuo attivista, ormai convinto da tanta insistenza e anche da in certo grado di frustrazione figlia delle tante battaglie perse, decide che “sì, è arrivato il momento di attraversare le istituzioni” gli stessi di prima gli dicono che “una cosa è fare movimento, una amministrare o governare”, “i vincoli burocratici non consentono di fare quello che si vuole”, “bisogna rispettare le regole”.


Cosa fa, a questo punto, il povero attivista? Torna nel suo fortino, si rimescola con i suoi, si mette un piattello sul petto e urla “dài colpite, non mi piegherò alle vostre leggi”. Eh no, sarebbe troppo comodo per il potere. Quanto è bello l’idealista sconfitto, quello che rimane fedele ad ogni comma della regola del rivoluzionario, che non ne vince mai una ma non si piega mai. E’ il rivoluzionario perfetto, quello con il quale è facile avere a che fare. Lo puoi anche accarezzare delle volte. Puoi raccontarlo come il sogno irrealizzabile, ma commovente, che non si può non guardare con tenerezza. Magari un momento prima di ordinare una carica o uno sgombero.

Arriva un tempo, invece, nel quale gli attivisti decidono che vogliono vincere, vogliono giocare su tutti i piani, vogliono attraversare tutti i luoghi (istituzionali e non) mantenendo sempre quel grado di disincanto che permette loro di non innamorarsi di nulla. Né del potere, né delle mani callose dell’operaio, né del funkazzismo punkabbestia, né dell’auto-rappresentanza, né del fortino assediato, né dell’autocompiacimento, né di un noi che sempre più si avvicina ad un io, né delle regole. L’attivista decide che vuole cambiare il mondo. Oggi, non domani dopo la rivoluzione. Decide di strappare il riformismo dalle mani del potere quando il riformismo è diventato uno strumento di morte per la società. Decide di attraversare le istituzioni oggi, quando le istituzioni diventano sempre più impotenti. Decide di farlo oggi quando il riformismo è impossibile.


Succede così che si scopre il “durante” delle cose. Succede che se muore il riformismo le conquiste intermedie sono manifestazioni di esodo. Succede che al tempo dello sfruttamento dell’intera giornata umana non è più possibile distinguere l’essere rivoluzionario dall’essere riformista. Sei comunque dentro una macchina che produce valore per qualcuno. E allora non conta dove sei, conta quello che fai, cosa traguardi nel tuo futuro. Conta come ti disponi di fronte al muoversi delle cose davanti a te. Conta quanto ti metti a disposizione degli altri. Così, solo così potrai essere utile. A dare, semplicemente, una mano a chi non ce la fa e a muovere un piccolo passo in avanti la comunità di persone che trasforma lo stato di cose presente.

Nessun commento:

Posta un commento