martedì 17 novembre 2009

GENOVA 2001 – ITALIA 2009/LA SICUREZZA PER POCHI – LA REPRESSIONE PER TUTTI

Mentre apprendiamo la brutale uccisione di un ragazzo – arrestato dai carabinieri a Roma per 20 grammi di erba e massacrato di botte – dobbiamo misurarci con l’ennesima dimostrazione della deriva securitaria e repressiva in cui è precipitato il Paese.

Deriva che colpisce alla cieca dove e come può, puntando a rovinare i corpi e le esistenze delle persone “indipendentemente” dalla gravità del reato commesso. Ma per una precisa funzione simbolica e, appunto, repressiva.

Tale deriva politica e culturale trova concretizzazione nel 2001 a Genova durante il G8, quando – ed è Amnesty International a dirlo – l’Italia sperimentò la sospensione dei diritti costituzionali: centinaia di persone furono torturate, sequestrate, ferite.

Quella pratica, negli anni che ci separano da Genova 01, è stata progressivamente iniettata nel corpo della società da un potente dispositivo mediatico e politico.

Di più: quella pratica è stata codificata dentro un nuovo Diritto Speciale che svincola e deregolamenta tutti i soggetti forti (evasori fiscali, devastatori del territorio, imprenditori) e controlla e reprime tutti i soggetti deboli (immigrati, militanti politici, giovani e soggetti marginali).

Al G8 di Genova – con le sue operazioni poliziesche organizzate secondo logiche di guerra – seguiranno anni di guerre travestite da operazioni di polizia che completeranno l’opera di legittimazione ideologica ed “emergenziale” degli impianti securitari adottati dai singoli paesi.

In questo quadro delirante di un diritto spappolato e speciale si inserisce la condanna a più di 100 anni di carcere per alcuni dei manifestanti fermati a Genova: anni di carcere attentamente comminati perché siano effettivi, perché i singoli imputati non possano usufruire delle possibilità assicurate a condannati speciali, perché in giacca e cravatta o seduti alla presidenza del consiglio.

Nel paese dei condoni – edilizi e fiscali, delle leggi fatte per poter falsificare bilanci, inquinare liberamente città e campagne senza conseguenze – si assiste ad una condanna impressionante per quanti, nel peggiore dei casi hanno rotto una vetrina.

Due pesi e due misure: lo stato incarcera – a volte arriva ad uccidere – per ragioni di classe e di opportunità in una logica che poco o nulla ha a che fare col diritto e sempre più con il furore ideologico di un progetto di società autoritaria e razzista, tanto ipocrita quanto ingiusta.

Anche in questa città, ogni giorno di più, prende corpo questo progetto. Esso vive nelle contraddizioni spaventose che l’attraversano, nelle periferie dormitorio e devastate dal degrado ambientale e sociale ma anche nelle immense ricchezze accumulate e nascoste ai più in una economia sempre più delinquenziale e a piede libero.

Una città in cui i registri del Tribunale traducono questi squilibri economici in sentenze, che parlano di poveri cristi condannati a mesi e mesi di carcere per il furto di un bullone o di un salamino.

I manifestanti condannati per i fatti di Genova, quindi, pagano un prezzo altissimo in termini di sofferenza personale per tanti motivi – l’aberrazione di un diritto speciale che elimina quello all’uguaglianza, l’ubriacatura securitaria di una società abbrutita, le pulsioni autoritarie di chi è al Governo – che nulla ha a che fare con quanto accaduto durante il G8.

Per tutto questo sentiamo la necessità di mobilitarci: perché questo impressionante meccanismo repressivo, fortemente politico, non stritoli le esistenze di due ragazzi messinesi – Dario e Ines – e, con loro, quanto resta della agibilità democratica di questo paese. Stavolta per tutti.

Comitato "Sicuri da morire"

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