sabato 7 novembre 2009

Messina. Città laboratorio del Ponte - mucca da mungere

di Antonello Mangano – Luigi Sturniolo

“No alle opere faraoniche, sì alla messa in sicurezza del territorio”. Lo dice, dopo l’alluvione del 2 ottobre, persino il presidente della Repubblica. Lo sostiene, da sempre, il movimento che si oppone al Ponte. Eppure da dicembre partiranno gli annunciati cantieri collaterali: una ulteriore devastazione del territorio, con opere insensate e sbancamenti delle colline. Uno spreco di denaro, perché saranno inutili fino al teorico completamento della grande opera. Un’offesa ai morti dell’alluvione, perché quei soldi devono servire alla messa in sicurezza del territorio.

Subito dopo l’alluvione del primo ottobre 2009, il presidente della Repubblica parlava come un militante “No Ponte”. Più esattamente, diceva “no ad opere faraoniche, si alla messa in sicurezza del territorio”. Sono stati necessari 30 cadaveri innocenti, trascinati in mare dai torrenti in piena, sepolti vivi nel fango, portati via dall’acqua o annegati nelle cantine delle loro stesse case per arrivare a questa conclusione. Per poche ore.

Dopo decine di morti, una quarantina di dispersi, centinaia di sfollati ed una tragedia di proporzioni inattese molti rividero le proprie posizioni. Non tutti. Chi se la prese col destino: precipitazioni fuori dalla norma; chi con i pochi soldi attribuiti alla prevenzione: non bastano mai; chi si limitava ad inscenare l’ormai consueto teleshow dei soccorsi a base di politici sorridenti e funzionari decisionisti.

In estate, il governo minacciava l’uso dell’esercito contro le minoranze che si opponevano all’avvio dei cantieri. Il presidente dell’Anas Ciucci veniva investito della carica surreale di “Commissario alla rimozione degli ostacoli” frapposti alla grande opera. Il tutto nel silenzio delle istituzioni nazionali e locali. Parlare di “riqualificazione del territorio”, evidentemente, colpiva meno l’immaginario rispetto alla retorica dell’isola da “unire al continente”. Proposte come le infrastrutture di prossimità, il traghettamento pubblico tra le due sponde, la messa in sicurezza antisismica degli edifici venivano bollati come risposte insufficienti, soluzioni limitate.

“Non lo faranno mai”

Non si è mai vista tanta incredulità intorno alle parole di un ministro della Repubblica e dell’amministratore delegato di una delle maggiori società di costruzioni del mondo. “Stiamo per aprire i cantieri”, dicono con ammirevole costanza da mesi. “Tanto il Ponte non lo faranno mai”, ribatte sia la gente comune sia l’esperto che la sa lunga. Eppure Matteoli e Rubegni (a.d. di Impregilo) lo hanno ripetuto più volte, anche a 24 ore dal fango di Giampilieri: a dicembre partiranno le opere a terra. I cantieri sono stati divisi in quattro categorie: opere ferroviarie, stradali, collegamenti marittimi ed opere compensative. Le prime due sono connesse al Ponte. La terza sezione sembra addirittura sostitutiva rispetto all’attraversamento stabile. La quarta è il classico assegno staccato ad un territorio in cambio della devastazione procurata.

Per prima cosa la nuova stazione, ipotizzata prima in pieno centro e poi nella zona semi-periferica di Gazzi. Sicuramente ci sarà l’interramento dei binari e nuove gallerie da realizzare in area urbana. Poi arrivano le opere stradali: la “variante necessaria a preservare l’integrità della Cittadella universitaria dell’Annunziata”, il raccordo Panoramica-Litoranea; il minisvincolo di Ganzirri, in corrispondenza del casello dove si pagherebbe il pedaggio prima di immettersi sul Ponte. In secondo luogo, la strada “Curcuraci- Panoramica dello Stretto - Svincolo di Marotta” e il raddoppio autostradale Giostra-Annunziata.

Un delirio di strade. Inutili

Poi le “opere stradali connesse”, che servono ad evitare interferenze tra mezzi di cantiere e traffico ordinario e – ad opera compiuta – a sostenere un aumentato flusso veicolare del tutto ipotetico: la “seconda tangenziale” (Tremestieri-Giostra), il “secondo tratto” della via del mare, il bypass Annunziata-Pace, il completamento della copertura del torrente Papardo. Prevedendo l’intasamento della città a causa del mega-cantiere, si ipotizzano sei “nodi di approdo” (Torre Faro, Papardo, Annunziata, Messina-porto, Gazzi, Tremestieri-porto) per integrare il sistema di trasporto pubblico e favorire gli spostamenti da una parte all’altra dell’area urbana.

Infine, le opere compensative: interventi di salvaguardia della riserva di Capo Peloro; interventi attuativi del Piano particolareggiato-Porto di Tremestieri; la variante-bypass di Faro Superiore; la rinaturalizzazione e il ripascimento dei litorali; misure per l’area integrata dello Stretto; aree di protezione civile.

Si tratterebbe di una delle più grandi follie mai realizzate in Italia. Per prima cosa, le strade e le ferrovie risulteranno perfettamente inutili fino al completamento finale del Ponte, e probabilmente anche dopo. Nello stand allestito lo scorso agosto alla fiera cittadina, la società “Stretto di Messina” mostrava senza pudore i plastici del “progetto preliminare 2002”. Da allora non è stata fatta molta strada: la successiva ipotesi, quella contestata dall’allora capo dei progettisti Remo Calzona, è del 2004.

Si procederebbe dunque al dissesto ulteriore di un territorio fragile, fatto di colline che fronteggiano il mare e già abbondantemente cementificate. Raddoppiare la tangenziale, interrare i binari, spostare la stazione, tanto per fare qualche esempio, sarebbe solo un regalo ad Impregilo. Una nuova ferita per un territorio sanguinante. Un’offesa ai martiri di quella politica che oggi tutti rinnegano. A parole.

La questione Ponte. Non lo faranno mai? Lo stanno già facendo

Non è abbastanza chiaro che il Ponte lo stanno già facendo, da anni. Prima con la progettazione, ancora non completata. Da dicembre con le prime opere collaterali. Il Ponte è questo. Una gigantesca opera di trasferimento di risorse pubbliche a pochi soggetti privati. E’ questo non è un bluff, né una farsa, ma una realtà. L’alluvione di Messina ha dimostrato che la vera emergenza è la messa in sicurezza del territorio.

Cinquecentottanta milioni di euro già spesi senza che una sola pietra sia stata mossa e senza progetto definitivo ci danno la misura anche economica dell’operazione Ponte. E dimostra che la frase “tanto non lo faranno mai” è destituita di ogni significato. Lo stanno già facendo. Da tempo. Lo stanno facendo spendendo risorse pubbliche e lo stanno usando come ipoteca sul territorio per replicare un modello che è proprio dei regimi populisti, secondo un diktat che dice: “o questo, o niente”.

Il Ponte è il cammino che conduce al Ponte ed è contro questo percorso che noi dobbiamo scontrarci. Dobbiamo farlo perché il Ponte, come in genere le grandi opere e tutti quegli interventi giustificati dalla politica dell’emergenza, è ad un tempo collettore di risorse pubbliche verso tasche private e strumento per la raccolta del consenso.

I tragici eventi che hanno colpito la riviera jonica del messinese nelle scorse settimane hanno messo in evidenza la fragilità del nostro territorio. Ciò che è accaduto a Giampilieri e Scaletta potrebbe, purtroppo, ripetersi in altre parti, e anche più popolose, della città di Messina. Questo allarme era stato lanciati per tempo e rispetto ad esso le autorità politiche, centrali e locali, avevano manifestato una colpevole indifferenza, lasciando di contro che si aggravassero le situazioni di rischio. Dal giorno del disastro tutti a Messina si sentono in pericolo e tutti chiedono che il territorio venga messo in sicurezza. A fronte di ciò l’annuncio dei cantieri è apparso a molti come un’assurdità, ai limiti della provocazione, dell’arroganza. E’ questo il motivo per cui tanta gente che era indecisa o, addirittura, favorevole alla costruzione dell’infrastruttura oggi ritiene il Ponte un’opera da non prendere assolutamente in considerazione.

Il Governo ha dichiarato di avere previsto 1.3 miliardi di euro pubblici da affiancare ai soldi da recuperare col project financing per la costruzione del manufatto. Ciucci ha rincarato la dose dicendo che con la ricapitalizzazione entro novembre arriveranno ai 2.5 miliardi di euro lasciati dal Governo Prodi. Glissiamo sul project financing (i famosi soldi dei privati) di cui bisognerà chiarire le caratteristiche speculative. Il resto, però, è pubblico. Quei soldi sono nostri e devono essere riconvertiti per la messa in sicurezza del territorio. Questa è, oggi, la partita. Qualcuno sostiene che quei soldi non esistono, in realtà. E’ possibile. Sia allora il Governo a dirlo e dichiari che da un anno prende in giro gli italiani sbandierando un finanziamento che non esiste.

Per tutti questi motivi quel chilometro e sette riveste un’incredibile importanza. Per questi motivi per noi le tappe sono obbligate. Bisognerà contrastare la posa della prima pietra perché quella verrà giocata come l’inizio dei lavori e tutti la percepiranno così.


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