lunedì 9 novembre 2009

PONTE: AFFARE A PERDERE PER LE FERROVIE. ECCO PERCHE’ L’Or.S.A. NAVIGAZIONE SOSTIENE LA RETE NO PONTE

Il CIPE (il comitato interministeriale per la programmazione economica) ha dato il via libera alla costruzione del ponte sullo stretto, il governo ha sbloccato 8,7 miliardi per le opere infrastrutturali dei quali 1,3 miliardi di soldi pubblici sono destinati al “tentativo” di realizzazione dell’attraversamento stabile fra la Calabria e la Sicilia ma dei decantati investimenti privati non si ha notizia.
La realtà sfiora il ridicolo ma nessuno ne parla: la fattibilità economica resta sulle spalle delle Ferrovie dello Stato, la società più sussidiata d’Italia che non ha neppure i soldi per l’ammodernamento dei vagoni e da anni persegue l’attivo in bilancio puntando solo sui tagli al costo del lavoro e della sicurezza e compromettendo di fatto la qualità e la quantità del servizio soprattutto al sud.
L’effetto annuncio del governo può servire a mietere consensi elettorali ma non cancella i molti dubbi che gravano sull’operazione, se la possibilità che tutto il sistema possa risultare economicamente sostenibile poggia sulle Ferrovie dello Stato, il progetto ponte assume i connotati dell’utopia organizzata per distribuire denaro pubblico al ciclo dell’acciaio e del cemento ampiamente descritto da Giovanni Falcone .
F.S. è la società pubblica più sovvenzionata d’Italia, quella che ha prodotto l’allungamento anomalo dei tempi di realizzazione della TAV ed ha moltiplicato i costi scaricandoli sul bilancio dello Stato, l’azienda che nonostante tutti i proclami non riesce a far circolare scorrevolmente i treni, soprattutto quelli da e per la Sicilia, e a dispetto delle reiterate promesse non è in grado neanche di assicurare la pulizia delle carrozze.
Eppure senza l’apporto economico delle Fs niente Ponte; tanto basta per affermare che il ponte parte con il piede sbagliato ed appare un azzardo prima ancora della posa della prima pietra prevista per l’inizio di dicembre. È come se qualcuno volesse correre i cento metri con le gambe ingessate, la condizione che siano proprio le Ferrovie il pilastro di tutta la struttura finanziaria appare così avventata agli stessi propugnatori dell’opera, che di fatto hanno finito per nasconderla nelle comunicazioni ufficiali; nei siti governativi non è più neanche rintracciabile.
Analizziamo i dettagli: il costo dell’operazione è previsto in 6,3 miliardi di euro da ammortizzarsi al 50% in 30 anni attraverso rate costanti. Queste rate devono essere pagate, appunto, dalle Fs con la controllata Rete Ferroviaria Italiana che si impegna a sborsare un canone minimo annuo per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria di 100,6 milioni di euro, più di 8 milioni al mese; in buona sostanza RFI investe sulla costruzione del ponte e finita l’opera dovrà pagare un pedaggio salatissimo per far transitare i propri convogli; non è finita, le Ferrovie dovranno girare al gestore del Ponte anche il contributo che oggi ricevono dal ministero dei Trasporti a compensazione degli oneri sostenuti per il traghettamento dello stretto a garanzia della “continuità territoriale”, si tratta di un’altra trentina di milioni che sommati alla quota precedente fanno circa 130 milioni, 11 milioni al mese. In più Rfi si impegna “ad effettuare a suo carico la manutenzione ordinaria e straordinaria”.
Rfi diventa gestore del collegamento ferroviario dell’opera ma nel contempo attiva la dismissione degli impianti ferroviari siciliani e calabresi, un paradosso tutto italiano, miliardi di euro investiti per il ponte ferroviario più lungo del mondo recuperati attraverso lo smantellamento delle infrastrutture ferroviarie che insistono sulla terraferma.
Finito il ponte dovremo aspettare altri 20 anni per riattivare ciò che F.S. sta smantellando in questi giorni?
Quanto tempo ci vorrà per dotare la Sicilia del doppio binario e realizzare la completa elettrificazione della rete regionale che ancora oggi si serve di obsoleti locomotori diesel?
L’incomprensibile dismissione di F.S. al sud ha prodotto un drastico calo del traffico ferroviario che si pone in totale antitesi con i proclami di sviluppo, modernizzazione e velocizzazione del trasporto su rotaia attraverso il ponte.
In sintesi il maggiore garante finanziario del ponte sta facendo di tutto per rendere ulteriormente inutile un’opera di per sé dannosa di cui nessuno sentirebbe il bisogno se il normale, ecologico ed economico collegamento ferroviario via mare funzionasse con i canoni minimi di qualità che F.S. non riesce o non vuole garantire. Secondo l’edizione 2008 del Conto nazionale dei trasporti, a partire dal 1990, il totale delle carrozze transitate sullo Stretto è calato del 46,4%, la diminuzione è stata repentina soprattutto negli ultimi 8 anni: meno 17,8 % con punte del 37% per i treni viaggiatori e con un decremento per le merci del 3,5%. Mentre diminuisce il traffico dei treni, si registra un boom del numero dei viaggiatori negli aeroporti siciliani, più 200% in totale a Catania, Palermo e Trapani (fonte Assaeroporti ed Enac). Sullo Stretto transitavano circa 15 milioni di passeggeri all’anno tra traghetti privati, Fs e treni, mentre i viaggiatori fuori dello Stretto erano appena 4 milioni, nel 2008 il rapporto si è invertito: i passeggeri passati dallo Stretto sono in minoranza, 10,7 milioni, in prevalenza trasportati dalle compagnie private tipo Caronte & Tourist delle famiglie Franza e Matacena, mentre quelli fuori dallo Stretto sono più che raddoppiati e in totale ora sono un milione in più degli altri, e per di più quasi tutti clienti delle compagnie aeree.
Tra una sponda e l’altra, oggi transitano appena 8 coppie di treni passeggeri e 8 merci al giorno, cioè 32 convogli tra andata e ritorno. Quindi ogni anno sullo Stretto passano soltanto 11.680 treni (pochini per giustificare le risorse pubbliche destinate al ponte ferroviario), tanti quanti ne viaggiano in un solo giorno su tutta la rete ferroviaria nazionale, e una volta costruito il Ponte ogni treno tramite il canone elargito da Fs pagherà, di fatto, un pedaggio stratosferico, 11.130 euro in media per percorrere 3 chilometri e 300 metri.
A questo punto sfidiamo chiunque a descrivere ancora il ponte come volano di sviluppo economico per il sud. Numeri alla mano, la faccenda del canone è tutt’altro che un affare per le Ferrovie e per le casse pubbliche, mentre lo è, e parecchio, per il futuro gestore dell’opera, la società Impregilo, a cui nel 2005 il precedente governo Berlusconi affidò la realizzazione della struttura, e i cui soci di maggioranza, sono anche i famosi “patrioti” del business Cai-Alitalia, da Marcellino Gavio ai Benetton a Ligresti. Ma perché le Fs avendo poca o nessuna convenienza ad infilarsi nell’affare del Ponte sullo Stretto non si sottraggono al patto leonino a favore di Impregilo? Perché non possono! Essendo un’azienda pubblica dipendente dalle decisioni della politica e dai finanziamenti del governo non possono mettersi di traverso ad un affare che per l’esecutivo Berlusconi è diventato una specie di punto d’onore, un gigantesco monumento alla mitologia del fare.
Le banche chiamate a prestare il 60 per cento dei fondi necessari per l’infrastruttura fanno capire che senza adeguate garanzie faranno dietro front; quali garanzie? Che arrivino i soldi per l’ammortamento di almeno metà dell’opera tramite il pagamento certo di un canone che sarà a totale carico di RFI. Le Ferrovie, in sostanza, agiscono come sostituti finanziatori:
la finzione è che paghino per un servizio, la realtà è che strapagano in cambio di nulla su ordine del Governo. Ma tanto, gira e rigira, quei soldi Fs sono soldi pubblici, frutto della fiscalità generale, cioè sborsati dai cittadini onesti con le tasse, mentre la precarietà del lavoro marittimo in ferrovia ha raggiunto percentuali altissime senza precedenti, la flotta navale è vecchia di 40 anni ed i continui tagli al trasporto meridionale costringono l’utenza ad inenarrabili avventure per spostarsi da una sponda all’altra e per raggiungere il continente.
Il diritto universale alla mobilità e la continuità territoriale sono stati sacrificati con largo anticipo a favore di un’opera di dubbia fattibilità, dettata dalla megalomania e dall’esigenza di trasferire risorse pubbliche nelle casse private di imprese e “patrioti” della finanza che troppo spesso figurano come usufruttuari dello storno di denaro pubblico elargito dallo Stato.
L’OrSA Navigazione si schiera senza mezzi termini contro la realizzazione del ponte che anche se fosse realizzato nei tempi e nei modi proclamati dal governo, non favorirebbe certo lavoratori e cittadini nel bilancio costi/benefici, i ferrovieri da oltre 10 anni pagano lo scotto del ponte con continue compressioni dei livelli occupazionali; 1800 marittimi si sono ridotti in poco tempo a meno di 600 di cui almeno il 30% con contratto precario e migliaia di posti di lavoro si perderanno nel settore ferroviario per effetto dei tagli, previsti già per il 2010, di treni merci e viaggiatori da e per la Sicilia; mentre i continui disagi procurati all’utenza vengono mitigati con la promessa di un ponte che con ogni probabilità non vedremo mai ultimato, sia per l’onere dei costi che per l’inedita tecnologia foriera di incertezze se riferita alla struttura a campata unica più lunga del mondo.
L’OrSA Navigazione invita tutti i ferrovieri a sostenere e partecipare attivamente a tutte le iniziative di resistenza civile periodicamente organizzate dalla Rete No Ponte siciliana e calabrese a difesa del territorio e contro la dispersione di risorse pubbliche che sono indispensabili per il raggiungimento di obiettivi concreti e prioritari nell’interesse della collettività e per il vero sviluppo del meridione d’Italia.


OrSA Trasporti
Segretario Nazionale Settore Navigazione
Enrico Pisciotta

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