domenica 28 febbraio 2010

RESISTERE ALL’EMERGENZA PER DIFENDERE LA DEMOCRAZIA

di Luigi Sturniolo
(intervento al convegno del 20 febbraio di Sinistra Ecologia e Libertà sul Dissesto idrogeologico nella provincia di Messina)

Il dissesto idrogeologico del territorio, l’inchiesta di Firenze sulle emergenze e la presentazione del Ponte sullo Stretto di Messina svoltasi il 12 febbraio a Messina sono parti di una narrazione che va colta nella sua dimensione unitaria.

La politica dei disastri e delle grandi opere sono una risposta delle elite politiche ed economiche alla crisi e si configurano come modalità attraverso la quale risorse pubbliche diventano fonte d’arricchimento per pochi piuttosto che occasione di redistribuzione della ricchezza.

L’accaduto o il progetto, dentro questa prospettiva, non hanno niente a che vedere con i bisogni della società. Sono solo occasione per far guadagni

Dentro una dimensione da basso impero, corruzione e crisi economica finiscono per camminare insieme.

Non è, quindi, forse, un caso se la Corte dei Conti ha, in questo scorcio d’inizio 2010, relazionato su 3 criticità quali gli aspetti finanziari del progetto del Ponte sullo Stretto, la cartolarizzazione dei debiti sanitari, la corruzione. Si tratta di tre casi nei quali il piano economico viene giocato per intero a carico della società nel suo insieme aumentando la dimensione debitoria di tutti, mentre i vantaggi finiscono nelle mani di pochi contractor, di qualche amministratore corrotto e dei circuiti finanziari.

Quando abbiamo ripreso l’iniziativa no ponte in risposta agli annunci di Berlusconi di voler rimettere l’opera al centro del proprio programma politico-mediatico abbiamo posto la messa in sicurezza sismica ed idrogeologica del territorio, insieme al rilancio del trasporto pubblico, come punti principali di una strategia vertenziale territoriale. “I soldi del ponte per la sicurezza dei territori” è diventato il nostro slogan. Lo abbiamo fatto prima e dopo il primo ottobre, prima e dopo i morti per le frane.

Ed è proprio dal primo ottobre e dai giorni ad esso successivi che abbiamo verificato la natura della politica delle emergenze. In quei giorni abbiamo assistito sul campo alla strategia comunicativa e alle modalità di gestione di una pratica amministrativa che ha fatto dello straordinario l’ordinario e dell’ordinario lo straordinario. Insomma, c’è sembrato di verificare sul campo come il Ponte sullo Stretto sia parte di una strategia che comprende grandi opere, eventi ed emergenze che seguono procedure di verticalizzazione delle scelte, di concentramento delle risorse, di drenaggio di risorse pubbliche, di coinvolgimento di parti pubbliche e private, di limitazione dell’informazione, di messa in discussione delle stesse agibilità democratiche e che si configurano come un modello permeabile a vere e proprie politiche spartitorie.

E’ questo il motivo per cui a chi ci accusava di voler politicizzare il movimento no ponte opponendoci ad una dimensione trasversalista (indifferente, cioè, alla natura profonda del problema) rispondevamo che la discriminante non è la natura partitica dell’enunciato ma i contenuti che vengono espressi e che l’opposizione alla grande opera ci risultava ingestibile fuori da una contestualizzazione della stessa. Non si tratta più, in altre parole, di disputare sull’utilità o meno di un’opera. Si tratta di battersi per affermare un’altra idea di rapporto con il territorio e un’altra idea di utilizzo delle risorse pubbliche. E su questo va costruito conflitto.

La questione del ponte non è più una tra le tante da affrontare. Sarà la chiave di lettura di questo territorio. Sarà il punto di vista attraverso il quale verrà traguardato il futuro. Che il Ponte si faccia o no, sarà così. Almeno fino a quando sarà in vigore l’attuale equilibrio politico nazionale.

Contro il Ponte va costruito conflitto. Consenso e conflitto, come si diceva una volta. E non ci si può limitare alla partecipazione alle manifestazioni o all’adesione formale. Non si sarebbe compresa la posta in gioco. Davvero non mi pare ci siano molte cose più importanti da fare. Davvero, oltre tutto, non mi sembra ci siano molte altre cose nelle quali registriamo una tale internità.

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